Rovina d’Argento
La Rovina d’Argento giace in un silenzio che sfida le mappe, le leggi del tempo e forse persino la ragione. A sud di Merat-Kharn, oltre i tratti deformi dove i contorni della realtà iniziano a sfilacciarsi, si dice sorga ancora, monca e semisepolta, questa torre ettagonale le cui origini sfuggono tanto agli studiosi quanto agli oracoli. Nessun sentiero certo conduce a essa. Nessuna mappa concorda sull'esatta posizione. Le carte ufficiali omettono il suo nome, mentre quelle non ufficiali – soprattutto quelle conservate con discrezione nei livelli più profondi degli archivi della Soglia dell’Insondabile – la collocano a circa ottanta chilometri da Merat-Kharn, vicinissima al confine del Vuoto, forse perfino oltre le sue prime ombre.
Quel che si sa è frammentario, distorto da superstizioni e da sussurri riportati da chi, forse, vi si è solo avvicinato. La torre, si racconta, è costruita con una pietra grigia chiara, interrotta da venature argentee che, nella completa oscurità, brillano con una luce fioca e silenziosa, come un respiro antico. È questo bagliore, flebile e intermittente, che le ha guadagnato il nome che porta. L’intera struttura si ergeva un tempo al centro di un cortile circolare, protetta da un muro ora quasi completamente in rovina, spezzato in monconi nudi e muschiosi, ma ancora riconoscibili per via delle due aperture principali, opposte tra loro e probabilmente pensate per fungere da assi cerimoniali. Curiosamente, queste entrate non sono orientate secondo i punti cardinali, ma seguono invece un allineamento geometrico interno, suggerendo conoscenze architettoniche o rituali dimenticate.
Dell’edificio rimangono intatti tre piani, oltre a un livello interrato dai soffitti a volta tanto alti da suggerire l’uso per funzioni solenni o per contenere qualcosa di più grande dell’uomo. Al centro, una scala a elica si avvita tra i livelli ancora percorribili, prodigio d’ingegneria intatta nonostante i secoli. I piani superiori crollati lasciano spazio a cumuli di macerie ammassati nel cortile interno, eppure non sono mai stati rinvenuti resti che possano indicare con certezza l’altezza originaria della torre. Alcune stime avanzano l’ipotesi che essa fosse almeno due volte più alta, ma ogni studio condotto sui detriti si è rivelato inconcludente. Come se la pietra stessa si rifiutasse di raccontare la propria origine.
Il terzo piano – l’ultimo accessibile – è oggi classificato a rischio di cedimento. Le sue volte sono crepate, i muri si fendono in fratture silenziose, e in più punti il pavimento si è aperto in cavità nere da cui sale un odore di muffa arcana e ferro antico. In questo livello sono state rinvenute strane rune nascoste sotto strati di calce o incise su superfici inaccessibili senza l’ausilio di incantesimi. Il loro significato non è stato diffuso, forse perché ancora non compreso, forse perché ritenuto pericoloso. Alcuni agenti della Soglia, di ritorno da ricognizioni parziali, hanno parlato di segni che mutano quando non osservati, di rune che risuonano nel sangue più che nella mente, ma questi resoconti sono oggi relegati a note marginali, contrassegnate come “non confermate” o “alterazioni percettive da influenza del Vuoto”.
La Rovina d’Argento è, per la Soglia, una ferita aperta. Più di un anno fa, una spedizione ufficiale composta da sette membri – tra cui arcanisti, guardiani e un cartografo esperto – è stata inviata per un’esplorazione sistematica. Dopo una settimana i contatti si sono interrotti. Nessuna traccia. Nessun messaggio. Nessun segno di allarme. In risposta, un secondo gruppo è stato formato e inviato con urgenza. I soccorsi avanzarono lungo un itinerario ridisegnato, più cauto, più metodico. Riuscirono a segnalare il proprio arrivo nell’area presunta della torre, ma dopo quattordici giorni anche loro cessarono ogni comunicazione. Da allora, nessuno è stato autorizzato ad avvicinarsi senza permessi speciali, e molte delle mappe più recenti mostrano quella zona coperta da nebbia, censurata da illusioni stabili o semplicemente rimossa del tutto.
Oggi, la Rovina d’Argento vive solo nei rapporti classificati, nei sussurri di chi ancora tenta di decifrare le sue origini, o nei sogni agitati di alcuni iniziati della Soglia che giurano di averla vista in visioni durante rituali non ortodossi. In quelle visioni, la torre è sempre integra. Alta, luminosa, abitata da figure che si muovono come riflessi dentro specchi oscuri. Figure che osservano chi sogna, e che a volte sussurrano. Nessuno, tuttavia, ha mai saputo ripetere chiaramente cosa dicano.
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