Kraven Spaccastelle
Kraven Spaccastelle, Patriarca della Zylvar Aedrath, è una leggenda vivente il cui nome incute rispetto e timore anche tra le più antiche razze di Nexia. Nato da un’unione impossibile, un incrocio tra un Minotauro da guerra delle Steppe di Mor’Zhul e una donna Orchesca delle Colline di Serek, Kraven vide la luce non nel calore di un focolare, ma nelle fredde e sordide catene di un’arena da combattimento clandestina dell’Orvelkar, nel cuore delle Piane Grigie di Tazrokk. Quelle terre — brulle, sabbiose, battute da venti carichi di cenere e da antiche maledizioni — furono il suo primo campo di battaglia. Fra rovine spezzate come mascelle sbriciolate, erbe sterili e cieli color ferro, Kraven imparò a sopravvivere prima ancora di camminare.
Schiavo combattente fin dall’infanzia, addestrato da sadici carcerieri e gettato nell’arena contro belve e prigionieri più grandi di lui, Kraven si dimostrò rapidamente qualcosa di più di un bruto. La sua forza era disumana, ma era il suo sguardo lucido, freddo, e feroce a terrorizzare gli spettatori. Capiva il ritmo del sangue, il respiro della folla, le debolezze del nemico. Uccideva con grazia brutale, eppure lo faceva con metodo, con una compostezza strategica che non apparteneva né a Orchi né a Minotauri. Un giorno, spezzò le catene che lo legavano con un colpo solo, rubò l’arma del suo carceriere e con essa abbatté i suoi padroni. Quell’arma era un antico maglio incantato, chiamato Spaccastelle, così battezzato per aver frantumato una volta il cranio di un basilisco di vetro sotto la luce della cometa Nethryl. Da allora, quell’arma diventò il suo nome. Kraven non aveva un casato, né un lignaggio: aveva solo il sangue, il silenzio del deserto e un martello che cantava come tuono.
Fuggito dall'Orvelkar, attraversò terre selvagge, si unì a bande mercenarie, combatté nel Nord di Kalandrar contro i draghi delle Creste Nere, sfidò re banditi e abomini degli abissi, fino a farsi un nome. Quando giunse a Rutnard, dove sorge la sede della gilda, la Zylvar Aedrath lo accolse con sospetto, ma anche con fame, come si fa con un predatore che potrebbe sbranarti o condurti a caccia. Scalò i ranghi della gilda in pochi anni, passando ogni Prova della Selce e della Carne da solo, senza squadra, con trofei raccapriccianti che fece gettare ai piedi dei giudici come sfida e blasfemia. Quando il Patriarca precedente cadde vittima di un demone, Kraven prese il suo posto senza cerimonia, senza voto. Nessuno osò contraddirlo.
Come leader, Kraven è tanto brutale quanto astuto. Non è un comandante che grida ordini: è un cacciatore che studia il bersaglio, lo isola, lo distrugge. Conosce ogni membro della sua gilda, ne conosce i limiti, le viltà, le ambizioni. Ha ricostruito le reti mercenarie e commerciali dei Zylvar Aedrath con spietata lungimiranza, aumentando i profitti della vendita di reagenti magici esotici e stabilendo accordi ferrei con artigiani e fabbri, in particolare i clan nanici di Rymkel, che rispettano la sua parola e il suo portafoglio. Tuttavia, la sua ambizione lo ha messo in rotta di collisione con molte gilde, tra cui la Soglia dell’Insondabile, con cui condivide un’antipatia velenosa. L’attrito con Alakzar Alenviir si dice sia esploso dopo la contesa di un reagente esotico, un oggetto che Kraven volle per i propri Collezionisti.
Kraven adora la libertà come un chierico adora il suo dio, e per quanto non sia un fanatico, rivolge spesso le sue preghiere a Zephyra, Spirito della Libertà, invocandola quando il vento cambia e quando la battaglia si fa caotica. La sua religione è pratica, non formale: non prega, ma si allinea, come un animale che annusa l’aria prima di una tempesta.
Nonostante la sua fama di predatore, Kraven è leale verso i suoi compagni, e protegge personalmente coloro che si sono guadagnati la sua stima. Spesso si prende cura degli iniziati che superano la quarta prova, chiamandoli “figli della catena rotta”. È famoso per la sua debolezza verso i piaceri costosi: vestiti in pelle di spettro, anelli intagliati da frammenti di drago, e soprattutto, le donne di sangue elfico, che ammira per grazia e immortalità — ciò che a lui, rozzo ma brillante, è sempre stato negato.
Kraven non è un eroe, né un tiranno. È ciò che resta quando la civiltà viene spezzata e si ricompone con la carne, l’astuzia e la ferocia. Una tempesta con un cuore — forse — ancora capace di battere.

Commenti