Sessione 64 - La Verità
I Protagonisti porgono le orecchie con estrema attenzione...
General Summary
In silenzio e con grande attenzione, il gruppo ascolta le parole di Vladimir Janowitz. "Le cose non sono andate esattamente come ve le abbiamo raccontate", inizia il nobiluomo con espressione seria guardandoli negli occhi, "Quando sorprendemmo la creatura, in realtà riuscimmo ad immobilizzarla prima che potesse fuggire dalla finestra. La catturammo, imprigionammo e la conducemmo nella mansarda di questa casa. L'ultimo piano, praticamente vuoto e mai frequentato da noi. Lì... la torturammo. Per costringerla a dirci la sua identità e le sue intenzioni. E, alla fine, dopo più di una decade, confessò. Disse che veniva da lontano, che stava impersonificando Tibor ormai da molti anni, che stava agendo da sola e che non era la prima volta che...faceva quello che aveva fatto a Sonya. Si era finta in diverse occasioni il consorte di giovani nobildonne di altre famiglie con lo scopo di...procreare con loro. Il suo intento era quello di generare dei figli che fossero anche suoi sottoposti fedeli. Sottoposti che sarebbero stati considerati ufficialmente membri di altre casate e su cui, una volta cresciuti, avrebbe contato per occupare in segreto posizioni di prestigio e di influenza in città. Dovete considerare che questo avveniva in un momento di sostanziale vuoto di potere, dove l'Alto Concilio stava muovendo i suoi primissimi passi qui a Sturben. Voleva creare un manipolo di esseri che lavorassero per lui e per il suo obiettivo di acquisire potere e ricchezza. Una sorta di signore occulto della città, se ci fosse riuscito. La creatura ci sembrò sincera quando aggiunse inoltre che nemmeno i Golofkin erano a conoscenza della sua natura e del suo piano, pertanto le credemmo anche se non capimmo e non abbiamo mai capito cosa fosse. Poi, una notte, riuscì in qualche modo a liberarsi e tentò la fuga. Uccise due dei nostri servi, morti che giustificammo ufficialmente con un incidente avvenuto mentre riparavano una delle nostre carrozze, dicendo che avevano perso la vita venendone schiacciati. Gli altri nostri servitori, il maggiordomo e lo stalliere che conoscete e gli unici altri a sapere i particolari della vicenda, bloccarono però ogni via di fuga costringendo l'essere a scappare sul tetto dalla finestra. Fu lì che, come vi abbiamo già detto, mise un piede in fallo e cadde, trovando così la morte. Il resto lo sapete. Agimmo come agimmo, insabbiando l'intera faccenda, anche perchè eravamo convinti dalle parole della creatura che i Golofkin, essendo allo scuro di tutto, non avrebbero avuto alcuna rivalsa contro di noi. Non c'erano trascorsi nè un vero schema ai nostri specifici danni, o a quelli di Sonya e Mirek, e senza alcuna prova nessuno avrebbe potuto ricondurre agli Janowitz la responsabilità di quanto accaduto. Credemmo, e finora abbiamo creduto, che la questione fosse finita lì...A quanto pare ci sbagliavamo...". Un nuovo e profondo silenzio scende a quel punto nella stanza mentre il gruppo si scambia occhiate preoccupate e riflessive al tempo stesso. Il racconto e la spiegazione forniti da Vladimir erano credibili ed effettivamente andavano a colmare anche alcune lacune rimaste vacanti fino ad allora. Lacune riguardanti il perché gli Janowitz non avessero temuto e non avessero preso in considerazione fino ad adesso i Golofkin come possibili complottisti ai loro danni e perché lo stesso Vladimir avesse in precedenza anticipato, deducendolo, il loro racconto su come il doppelganger era scappato da Villa Anchev, ovvero attraverso la finestra della stanza dove era stata portata Magda. Un modus operandi noto al nobiluomo e che evidentemente, anche se appartenente ad un individuo differente rispetto a quello che aveva impersonificato Tibor, pareva essere comune alla loro specie, data la loro velocità e intelletto. "Questa, dunque, è la verità?", chiede Goldrick con espressione inquisitoria, "Tutta la verità?". L'annuire in risposta di Vladimir, seguito da quello di Vera, da vita nelle menti del gruppo ad una miriade di pensieri e ragionamenti. Eppure, in quel momento, uno più degli altri si manifesta chiaramente, ed è Lucien a dargli consistenza, abbandonando ogni velleità di formalità o buone maniere. "Quindi, oltre a negarci la verità e quindi di fatto impedirci di compiere appieno il nostro lavoro, ci avete preso in giro dandoci un ultimatum...", esclama impassibile il mezzelfo. "Non abbiamo preso in giro nessuno, non potevamo...", interviene di nuovo Vladimir serrando la mascella, interrotto però a quel punto dall'immediato sguardo gelido e fulminante che il warlock gli lancia. "Non avete preso in giro nessuno, dite...", replica quest'ultimo, "come possiamo fidarci di voi? Come possiamo fidarci di chi tortura e uccide? E poi, siamo stati ingaggiati per scagionare Alexandra e sventare il complotto ai vostri danni, non per combattere la vostra guerra!!". L'intenzione del nobiluomo di rispondere a tono viene in quel momento bloccata sul nascere dall'intervento di Vera che, per la terza volta quel giorno, costringe Vladimir a fermarsi. Questo, pur ribollente di rabbia in un'espressione che fatica ora a mantenere salda e distaccata, cessa il proprio intento impetuoso lasciando la parola alla consorte. "Non era certo nostra intenzione offendervi nè mancarvi di rispetto", esordisce la nobildonna con tatto, educazione e pacatezza, cercando di mantenere la calma e gli animi distesi, "abbiamo fatto quello che abbiamo fatto nei vostri confronti, commettendo sì un errore, ma credendo di farlo nel nostro interesse. Comprendiamo le vostre ragioni ma vi chiediamo di comprendere anche le nostre. Quell'essere è stato torturato, è vero, ma non avevamo altro modo di estorcergli le informazioni che volevamo. La sicurezza della nostra stessa famiglia era in pericolo. Inoltre, abbiamo soltanto risposto ad un attacco, ci siamo difesi. E la creatura non è morta per colpa nostra, è stata una disgrazia. Non vi chiediamo di combattere la nostra guerra ma di continuare a svolgere il vostro incarico, nel nostro interesse. Nè più nè meno. Sventare il complotto, rendere nota la verità, riabilitare il nome di Slavko e fare in modo che Alexandra e Magda siano considerate innocenti. Potete fare questo per noi?". Il gruppo si trova ad apprezzare quelle parole sincere e accorate, in uno sforzo non solo diplomatico, ma anche fisico, che la donna, visibilmente sempre più provata, sta compiendo. "Si, possiamo farlo", rispondono in coro Lucien e Goldrick, "ma non più di questo". "Certamente, ne siamo lieti", replica la donna, soddisfatta, mostrando un lieve sorriso, prima di scambiarsi uno sguardo d'approvazione con il consorte. "Molto bene, allora", conclude Vladimir prendendo di nuovo la parola con un accenno di stizza, "rimarremo in contatto per i prossimi sviluppi. E il termine massimo di tre giorni per la vostra indagine permane tale. Non...". Ancora una volta, il suo discorso è interrotto da Vera che, placando sul nascere ogni ulteriore attrito, interviene di nuovo. "Spero che comprendiate come, in caso di vostra non riuscita, che gli Antichi Dei possano impedirlo, in questo modo avremmo più tempo per organizzarci e trovare qualcun altro per far scarcerare Alexandra", afferma con occhi stanchi e modi ossequiosi. "Ma certo", esclama Lucien, tagliando corto e permettendo di fatto ai due Janowitz di congedarsi. "Adesso, se volete scusarci", conclude Vladimir serio, uscendo quindi dalla stanza a braccetto con la moglie. Rimasti soli, i quattro tornano a scambiarsi sguardi dubbiosi e turbati, prendendosi qualche minuto per riflettere su quanto appreso. Nella tranquillità e privatezza della camera di Petra, essi iniziano perciò a discutere su tutte le implicazioni di quel caso e sui prossimi passi da muovere. Sulla base di quanto noto a Tiresio sulle caratteristiche dei doppelganger, quanto narrato da Vladimir pare realistico. Infiltrarsi a vari livelli della nobiltà e delle istituzioni cittadine, per quanto un processo lungo e dispendioso, sarebbe fattibile per un gruppo consistente di mutaforma, tenendo conto degli incredibili vantaggi dati dalle loro abilità e dei benefici che acquisirebbero in quel caso. Inoltre, anche le loro modalità riproduttive combacerebbero con quanto confessato da "Tibor". I doppelganger, infatti, pur essendo asessuati nel loro aspetto naturale e in grado di assumere le sembianze di individui sia maschili che femminili in ogni loro fisionomia, sono fertili solo nella forma maschile, avendo bisogno di una femmina di un'altra specie per procreare. "La domanda è", ragiona il bardo ad alta voce, "da quanto 'Tibor' stava portando avanti il suo piano? Quanti...incontri ha avuto? Quante figli potrebbe aver generato?". "In ogni caso, molti sarebbero ancora piccoli. Adolescenti, per la maggior parte. Forse qualche ventenne...", osserva Karak, "secondo quanto ci hai detto nessuno di loro potrebbe ancora aver manifestato la sua vera natura. E in quel caso non c'è modo di smascherarli". "Qualcuno abbastanza grande deve esserci. Qualcuno della mia età basta e avanza", esclama Lucien, "altrimenti non saremmo in questa situazione. Qualcuno che è venuto a sapere del fato del padre e vuole vendicarlo. E a questo punto ho qualche dubbio sul fatto che possa essere soltanto uno il doppelganger...". "Questo se crediamo alla versione che ci è stata data", asserisce Goldrick, "Ovvero che 'Tibor' agiva da solo e che qualche ex-servitore degli Janowitz abbia fatto la spia ai Golofkin. E stavolta sono portato a credergli. Molte cose tornerebbero". Mentre gli altri continuano a discutere, dei distanti rumori attirano in quel momento l'attenzione di Karak. Rumori di svariate persone in avvicinamento che camminano sul selciato del viale della villa. Avvicinandosi all'unica finestra della stanza, affacciata sulla parte anteriore dell'edificio, il lucertoloide scorge da dietro la tenda di color ocra un piccolo gruppetto di sei miliziani che si approssima all'ingresso della casa. Alla loro testa egli riconosce la sergente Kadaneff, la femmina di sangue elfico con cui hanno avuto a che fare soltanto qualche ora prima al Gran Ballo. "La Milizia è arrivata, Kadaneff per la precisione", dice rivolto agli altri. Un'informazione che essi apprendono con occhiate indecise e sentimenti contrastanti. "Mirko Golofkin, il figlio di Nadya. Mi sembra di aver sentito che abbia circa 22 anni", afferma Tiresio, tornando però subito sul discorso di poco prima. "E se non ricordo male mi pare che abbia anche una sorella quasi della stessa età...", aggiunge Lucien. "Quindi? Cosa facciamo adesso?", chiede Goldrick, sforzandosi di pensare in maniera più pratica. Quella domanda, alla luce di quanto da loro scoperto, apre a quel punto un ventaglio praticamente infinito di possibilità. E i quattro quasi si perdono nel considerarle tutte. "Credo che, ad ora, l'opzione migliore sia quella di cui abbiamo già parlato. Dare un'occhiata ai campi dei Golofkin. Con un pò di fortuna potremmo trovare qualcosa...", interviene dopo diversi minuti di discussione il ladro, cercando di tirare le somme e prendere una decisione definitiva. "Prove della presenza di Miria sul posto", rincara Tiresio, "e magari indizi su cosa possa prevedere adesso il complotto contro gli Janowitz. Se il doppelganger è rimasto in questa casa per giorni fingendosi Miria, non l'ha fatto per nulla. Voleva qualcosa e non credo fosse solo testare la vera natura di Gavril. Deve esserci dell'altro, dell'altro che non sappiamo...". Un improvviso bussare interrompe in quel momento le loro riflessioni e Lucien, andando ad aprire la porta della camera, si trova di fronte il maggiordomo. "Lor Signori sono attesi nelle cucine dalla Sergente Kadaneff della Milizia Cittadina. Vorebbe porvi qualche domanda su quanto accaduto qui la scorsa notte", esordisce l'uomo che poi, dopo aver elegantemente invitato il gruppo a seguirlo, gli fa strada fino alla grande cucina del piano terra dove lo lascia da solo in compagnia dell'ufficiale. La sergente, seduta ad un lungo tavolo su cui sono ancora appoggiati all'altra estremità gli ingredienti necessari per la preparazione di una colazione che la servitù non ha avuto modo di finire di predisporre dopo l'arrivo della Milizia e l'aver appreso quanto accaduto a Miria, li prega di sedersi con un'espressione seria e al tempo stesso irritata. "Non credevo e sinceramente non avrei proprio voluto rincontrarvi così presto", inizia immediatamente senza attendere che tutti si accomodino sulle sparpagliate sedie della stanza, "con tutto il rispetto, ovvio. Non vi tratterrò a lungo, vorrei farvi solo qualche domanda. E gradirei mi rispondiate con la verità e, a meno che io non ve lo chieda, soltanto con un sì o un no. Intesi?". L'acconsentire dei quattro le permette di continuare senza indugio. "Bene. Allora, mi è stato detto che avete rinvenuto voi il corpo, è corretto?". "Si", risponde Karak da sotto il suo cappuccio, "l'ho trovato io". "E lo hai anche tirato giù tu?", lo incalza a quel punto la donna. Il silenzio del lucertoloide rende in quel frangente manifesto il suo dubbio e il suo imbarazzo. Era chiaro come la sergente non avesse gradito, per usare un eufemismo, il fatto che essi avessero addirittura toccato il cadavere, figuriamoci quello di averlo tolto dal cappio. L'indecisione di Karak resa evidente dallo sguardo fulminante di Kadaneff che pare come voler penetrare le tenebre sotto al suo cappuccio da comunque l'opportunità a Lucien di intervenire in aiuto del compagno e in ragione delle loro azioni. "Non abbiamo toccato nient'altro, sergente. Abbiamo soltanto tirato giù il corpo per dare alla povera Miria un minimo di decoro", afferma cercando di apparire convincente. "Un minimo di decoro, dite", riprende l'ufficiale lanciando anche al warlock uno sguardo inquisitorio e dubbioso, "e ditemi, non avete per caso anche toccato il biglietto lasciato dalla suicida?". "Assolutamente no", risponde nuovamente il mezzelfo sostenendo quello sguardo. Kadaneff, facendosi indietro sulla sedia e poggiandosi allo schienale con un'espressione un pò più convinta, continua con le sue domande, passando in rassegna con lo sguardo tutti i presenti. "Avete visto o sentito qualcuno o qualcosa nelle vicinanze del gazebo?". "No, niente di niente", replica a quel punto Karak, decidendo di mentire. Un nuovo silenzio, stavolta generato dai pensieri della sergente, piomba a quel punto nella cucina. Poi, con espressione estremamente determinata, ella riprende a parlare. "Non dovevate toccare il corpo. Non era compito vostro, avete alterato la scena. Spero voi abbiate veramente fatto soltanto quello. Detto questo, non spreco il mio tempo a dirvi che saremo noi, e solo noi della Milizia, a svolgere le indagini del caso. Qualunque vostra azione non sarà benvenuta. Adesso abbiamo finito ma rimanete a disposizione nel caso volessi parlare di nuovo con voi", conclude la donna alzandosi e guadagnando l'uscita con una mano poggiata sul pomolo dell'elsa della sua spada lunga, prima di voltarsi e aggiungere "Anche se mi auguro di non doverlo fare". Detto ciò, la sergente, congedandosi con un lieve gesto del capo, apre la porta e la varca, richiudendola subito dietro di sè. Il gruppo, attraverso l'unica finestra presente nelle cucine, può seguirla con lo sguardo mentre percorre il vialetto del giardino posteriore raggiungendo il gazebo dove, illuminata dal sole che si sta issando nel cielo del mattino con sempre più decisione, si ferma a parlare con Vladimir Janowitz. Intorno ai due, gli altri miliziani paiono tutt'ora intenti a scandagliare le vicinanze della struttura in legno, in cerca di indizi. Comprendendo come la presenza della Milizia li impossibiliti a fare altro lì alla villa, i quattro decidono di lasciarla senza indugiare oltre. La stanchezza per la notte insonne e per via di tutto quanto è accaduto inizia a pesare su di loro, senza contare il fatto che, anche alla luce di quell'ultimo confronto con la Milizia, concordino sul ragionare ancor più a fondo su quanto scoperto e sull'organizzare la loro sortita nei campi settentrionali in un luogo più appartato che non sia la dimora degli Janowitz. Così, Goldrik, Karak, Lucien e Tiresio si avviano verso l'ingresso principale dell'abitazione con l'intenzione di abbandonarla per dirigersi a "L'Ultimo Braciere". Giunti nei pressi del portone nell'atrio, però, essi notano come il maggiordomo stia ricevendo qualcosa da qualcuno che si trova all'esterno, oltre la soglia. L'uomo sembra afferrare una busta chiusa, porgere gli omaggi e richiudere la grande porta. Poi, voltandosi, si incammina verso l'ampia scalinata sulla quale il gruppo scorge Vera, in piedi sui gradini, in una curiosa attesa. La nobildonna, ricevendo la busta e leggendo il mittente, ha un chiaro sussulto. Pur cercando di trattenersi alla presenza dei quattro, i suoi occhi si sgranano e le sue mani, seppur impercettibilmente, iniziano a tremare. Mentre ella, con un filo di voce, chiede al maggiordomo di andare a chiamare Vladimir, il gruppo pondera la situazione con cautela e attenzione. La busta, senza essere aperta, ha già scatenato nella donna una reazione di grande turbamento e preoccupazione, quasi paura. La gravità e l'importanza della cosa è palpabile. E per questo motivo, essi si scambiano occhiate decise e silenti nel tentativo di improvvisare sul momento un modo per poterne leggere il contenuto. Un modo che non sia troppo invadente e che sia comunque plausibile e rispettoso nei confronti degli Janowitz. I loro pensieri, tuttavia, vengono poco dopo interrotti dall'arrivo frettoloso di Vladimir. Egli li supera senza nemmeno guardarli, raggiungendo la consorte sulle scale con espressione interrogativa e, dopo aver ricevuto la busta da lei ed averne letto a sua volta il mittente, la apre con una minima esitazione. La lettura della lettera ivi contenuta turba lo stesso nobiluomo, seppur egli riesca a darlo meno a vedere rispetto alla moglie. La sua mascella serrata e i suoi occhi colmi di livore e dubbio ne sono però testimoni. Dopo qualche istante di silenzio e ulteriore titubanza, alla fine, l'uomo scambia uno sguardo preoccupato con Vera prima di porgere in silenzio la lettera allo stesso gruppo. Questo, stupito, la afferra potendola finalmente leggere dopo aver notato il destinatario riportato, ovvero la famiglia Janowitz, e il mittente, la famiglia Golofkin, in una bella ed elegante scrittura femminile. "Alla stimata famiglia Janowitz, la casata Golofkin è lieta di invitarvi al Ballo d’Autunno che si terrà la sera del 19 dicembre presso la nostra residenza. Sarà un’occasione per celebrare la stagione e rinsaldare l’amicizia tra le nostre famiglie. L’ingresso è previsto agli ultimi raggi del crepuscolo. Con profondo rispetto, Lady Nadya Golofkin", legge Lucien ad alta voce, non potendo inoltre fare a meno di notare un leggero e gradevole aroma di rosa provenire dalla lettera stessa. A quel punto, ancora una volta, il silenzio scende in quell'angolo della villa, tra lo sbigottimento dei quattro e i timori della coppia. "Una mossa scaltra, astuta. Non c'è che dire", osserva subito Lucien scambiandosi sguardi incerti con i compagni e per ultimi con Vladimir e Vera, ai quali restituisce la lettera. "Non può essere un caso", aggiunge Goldrick, preoccupato e rivolto ai consorti, "punteranno nuovamente a voi. E chissà in quale modo stavolta...". "Devo chiedervelo, Lord Vladimir. Cosa avete intenzione di fare? Accetterete l'invito?", domanda a quel punto il warlock. Il nobiluomo, lanciando un'occhiata alla moglie sempre più provata, pare questa volta combattuto al riguardo, a differenza di quanto scelto di fare con il ballo a Villa Anchev. "Per la sicurezza della mia famiglia", afferma poi quasi a sorpresa, "stavolta potremmo dover decidere di non rispondere all'invito. La situazione potrebbe imporlo. I rischi, alla luce di quanto avete scoperto, sarebbero troppo alti". "E se, la mia è soltanto un'idea, noi potessimo prendere il vostro posto a questo ballo? Se potessimo usare dei metodi per apparire come voi e fingere di essere voi? Voi non correreste rischi e noi potremmo avere a che fare direttamente con il doppelganger, potendo sventare il suo piano, qualunque esso sia...". Lo sguardo che a quel punto Vladimir lancia al mezzelfo è costituito da una miriade di emozioni e di pensieri differenti. Ma più di tutti, senz'altro, è il dubbio, ancora una volta, ad essere preponderante su tutti gli altri. Il gruppo comprende subito come la proposta di Lucien, così improvvisa e strana, abbia scatenato nel nobiluomo una serie di domande di difficile risposta. Ed è piuttosto facile intuire come esse vergano principalmente sulla loro stessa identità. Pur essendo presumibilmente a conoscenza dell'esistenza della magia, averla probabilmente testimoniata in prima persona e sapendo anche della peculiarità dei quattro, infatti, poiché preannunciatagli da Pavlic anche come ulteriore assicurazione della loro competenza e affidabilità come investigatori, probabilmente il capofamiglia degli Janowitz non può fare a meno di chiedersi come essi siano in grado di fare sostanzialmente la stessa cosa del doppelganger. E quel pensiero, in quel momento, è molto gravoso oltre che disturbante. Tuttavia, subito dopo, l'espressione di Vladimir muta in quella di qualcuno costretto a fidarsi e ad accettare qualcosa anche se a malincuore. "Direi che andrebbe bene", si limita a rispondere quindi l'uomo, annuendo a fatica. Una risposta che sorprende di nuovo il gruppo, pur positivamente. Una risposta che possono però a mala pena elaborare poiché, subito dopo, Vera si accascia improvvisamente sullo sposo. Come qualcuno che perde di colpo tutte le proprie forze, ella si appoggia al marito e cade su di lui senza che le sue gambe riescano a sorreggerla. Vladimir la afferra immediatamente con grande reattività impedendo che scivoli sulle scale e nel momento in cui realizza, così come il gruppo, che la nobildonna ha gli occhi chiusi ed è sul punto di svenire perdendo completamente i sensi, la prende in braccio con decisione. Con l'aiuto del maggiordomo, poi, che accorre subito ad aiutarlo, egli riesce a sollevarsi, iniziando a condurre la consorte su per la scalinata, presumibilmente verso la loro camera da letto. "La mia sposa non si sente molto bene, dovete scusarci. Credo che sia più opportuno rimandare la nostra discussione. A più tardi", taglia corto Vladimir senza nemmeno guardarli, scomparendo in cima alle scale nel corridoio del primo piano. Rimasti soli nell'atrio, pur preoccupati dalle condizioni di Vera, essi decidono di attenersi a quanto hanno già stabilito, derubricando le condizioni della nobildonna a semplice stanchezza frutto anche di tutto quello che è successo in quella lunga notte sebbene Goldrick continui a rimuginarci non essendone completamente convinto. Così, i quattro si avviano verso l'uscita della villa, varcando il portone e percorrendo il lungo viale d'ingresso sotto un cielo che ora si sta facendo sempre più nuvoloso e grigio. Giunti a metà di questo, però, essi notano alla loro sinistra, nel bel mezzo del giardino, Sonya, Gavril, Petra e Rose. I primi due, seduti su una panca di granito, sono uno di fronte all'altra, con la madre che tiene le mani del figlio nelle sue, parlandogli dolcemente con espressione rassicurante e amorevole. Le seconde due, invece, sono sedute poco distanti, una accanto all'altra sul bordo in pietra di una piccola fontana e vasca per gli uccelli, con i quali la bambina giocherella da lontano sotto lo sguardo attento della servitrice. Volendo trovare una risposta ad alcuni interrogativi che lo attanagliano, Goldrick chiede agli altri di attenderlo mentre prova a porre qualche domanda alla piccola Petra. Così, senza obiezioni, Lucien, Tiresio e Karak rimangono in disparte osservando il paladino avvicinarsi lentamente e con fare tranquillizzante alla bambina. Ella pare dapprima un pò intimorita e poi incuriosita dall'uomo che si accovaccia di fronte a lei con un caldo sorriso, mettendola subito a suo agio. Poi, salutandola e presentandosi con buone maniere, Goldrick prova a farle qualche domanda dopo che anche la piccola, con perfetta educazione, risponde al saluto presentandosi a sua volta. "Posso chiederti qualcosa di Miria?", esordisce il paladino. "Si", annuisce con una certa esitazione la bambina, abbassando lo sguardo e facendosi di colpo più scura in volto. "Ti ricordi se per caso, negli ultimi giorni, Miria ti è sembrata un pò strana? O ti ha fatto alcune domande...particolari?", continua l'uomo di mezz'età, senza fretta o pressione. "Mi è sembrata...più attenta a Magda. La guardava spesso", inizia Petra cercando di ricordare mentre i suoi occhi puntano verso l'alto e poi verso il basso, incrociando quelli di Goldrick, "ma...la cosa strana è stata che si era dimenticata dove eravamo arrivate a leggere il libro di favole che mi leggeva sempre. Ho dovuto dirglielo io perchè lei non lo ricordava. Ma...", continua la piccola sforzandosi, "tutto è cominciato qualche giorno prima, quando è tornata dal Grande Mercato dove andava spesso. Da quel giorno non ricordava molte cose...poi...". "Poi?", la incalza con cautela e pacatezza il paladino. "Poi, con il tempo, è tornata ad essere Miria...", conclude la piccola mentre la madre, colta la loro conversazione, come a voler controllare che niente turbi la figlia, le si avvicina sedendosi sul bordo della vasca al posto di Rose, che invece si sposta accanto a Gavril. Sonya, a quel punto, mettendo una mano sulla spalla di Petra e sfregandola delicatamente, le fa sentire la propria vicinanza pur permettendo e senza disturbare il dialogo tra lei e Goldrick. Non volendo insistere oltre sulla questione sia perchè soddisfatto delle risposte ricevute che per non turbare ulteriormente anche Sonya oltre che Petra, il paladino scambia con lei un'ultima battuta. "Ti piacciono gli uccellini?". "Si", annuisce convinta la piccola, mostrando per la prima volta un accenno di sorriso. "Anche a me. Sai, quand'ero piccolo ne avevo uno anch'io. Era molto bello. Se li tratti con gentilezza, possono esserti amici e giocare con te. E poi, devi sapere che Miria non se n'è andata. E' qui, con te. Ci sarà sempre. Magari è proprio uno di quegli uccellini". A quelle parole gentili e di speranza, il volto della bambina si accende improvvisamente, come brillando di luce propria. Visibilmente rincuorata, sorride a Goldrick, lanciando uno sguardo agli uccellini che zampettano sull'erba a qualche passo da lei. "Allora...me ne prenderò cura!", esclama felice voltandosi per guardare anche la madre. Questa, ricambiando lo sguardo della figlia con espressione orgogliosa, le sorride a sua volta accarezzandole la testa e i capelli. Poi, quando il paladino subito dopo saluta Petra congedandosi, la piccola, spronata da Sonya, si alza in piedi per salutarlo a sua volta alla maniera di una nobildonna. Accennando cioè un elegante inchino mentre tiene leggermente alzati i due lembi del lungo abito scuro che indossa. Goldrick, allontanandosi, fa un ultimo cenno con la mano rivolto alla bambina che intanto continua a sorridergli da lontano e scambia uno sguardo d'intesa con Sonya che a sua volta pare ringraziarlo con gli occhi per i modi e la gentilezza usati con la figlia. Poi, senza indugiare oltre, il gruppo lascia Villa Janowitz. Percorrendo quindi le strade del Quartiere Ricco in una mattinata che si sta facendo via via sempre più uggiosa e fredda, i quattro iniziano a discutere su tutti gli ultimi eventi. Tuttavia, il fatto di trovarsi all'aperto e a portata d'orecchio di chiunque, li sconsiglia dall'approfondire la questione, facendoli decidere, come in realtà da loro già stabilito, di rimandare il tutto a quando saranno arrivati alla locanda. Così, essi, accompagnati da Dawnarn che si riunisce a loro seguendoli e volteggiando sopra le loro teste, attraversano Sturben da nord verso sud, lasciandosi alle spalle la tranquillità del quartiere settentrionale e immergendosi poi invece, dopo diversi minuti di cammino, nel caos del Grande Mercato, come al solito vivo e vivace, pullulante di suoni, colori e odori. Non avendo comunque motivo di fermarsi lì, essi proseguono verso la locanda, raggiungendola proprio mentre in lontananza le campane del Tempio di Ezra suonano i rintocchi delle nove del mattino. Dando disposizioni a Dawnarn di rimanere all'esterno dell'edificio a sorvegliare qualunque strana e sospetta attività degna di nota, i quattro vi entrano. In una sala comune dall'accogliente tepore ed occupata da avventori soltanto per la sua metà, essi scorgono da lontano Raina, seduta da sola ad un tavolo. Notando con sollievo come sembri stare bene, prima di raggiungerla si fermano però per qualche istante al bancone, volendo scambiare qualche parola con Anya. E dopo aver velocemente salutato la solita indaffarata e sorridente Eike che passa vicino a loro, riescono a parlare con la locandiera. Quest'ultima conferma loro di aver tenuto d'occhio, insieme a Eike in quanto informata da lei di ciò che Tiresio le aveva chiesto, per tutto il tempo Raina e di essere sicura che la ragazza sia rimasta lì al sicuro nonché il fatto che nessuno le si sia avvicinato. L'ancor maggiore sollievo che il gruppo manifesta a quelle parole, tuttavia, viene spazzato via solo un istante dopo quando Anya aggiunge che un messaggero, circa un'ora prima, ha portato una lettera proprio per Raina. "Sembrava davvero un messaggero, un uomo qualunque ma distinto. Con abiti costosi. Mi ha chiesto se conoscevo una certa cantastorie di nome Raina e se alloggiasse qui o vi fosse passata. Doveva consegnarle una lettera e stava facendo il giro di tutte le locande della città nella speranza di trovarla. Io ho fatto finta di non conoscerla, ho detto che non alloggia qui. Ma ho accettato comunque la busta 'nel caso arrivasse', ho fatto bene?", conclude la donna, asciugandosi il sudore dalla fronte. "Grazie, Anya", le dice Lucien con un sorriso tra il teso e il confortato mentre la donna dalla chioma rossa, dopo essersi pulita le mani con uno straccio, passa al gruppo la busta che tiene in una tasca interna del suo grembiule. Poi, con un cenno di saluto, ella ritorna ai propri compiti, lasciando il gruppo da solo. Questo, scrutando la carta nelle proprie mani, ha un nuovo sussulto. La busta, infatti, assolutamente identica a quella recapitata agli Janowitz, nella stessa elegante scrittura indica un destinatario, la cantastorie Raina, ed un mittente, la famiglia Golofkin. Sempre più turbati alla luce di quell'ultimo evento, i quattro si dirigono quindi verso Raina, sedendosi al suo tavolo. L'accoglienza della giovane nei loro riguardi passa però subito in secondo piano nel momento in cui essi le porgono la busta decidendo di spiegarle ciò che è avvenuto. Lei, non intuendo ancora la portata della cosa, prende la busta, la apre ed estrae la lettera leggendone il contenuto. "Alla talentuosa cantastorie Raina, la tua arte mi ha profondamente impressionata, e sarei onorata di sentirla riecheggiare nelle sale della mia festa. Io, Nadya Golofkin, ti invito cordialmente per un’esibizione al Ballo d’Autunno che si terrà la sera del 19 dicembre presso la mia dimora. La tua presenza e la tua voce donerebbero alla notte un incanto raro. Sappi che i tuoi talenti saranno ricompensati generosamente, poiché doni simili meritano nulla di meno. Con viva attesa, Nadya Golofkin", conclude la giovane. Poi, alzando lo sguardo verso gli altri e notando le loro espressioni a dir poco perplesse e preoccupate, ella perde subito il sorriso appena nato sulle sue labbra. "Qualcosa mi dice che questa non sia una bella notizia, giusto?".
Personaggi con cui si ha interagito
Vladimir Janowitz, Vera Janowitz, Sergente Kadaneff, Petra Janowitz, Rose, Sonya Janowitz, Eike, Anya e Raina
Rapporti Correlati
Goldrick Olzanik
Karak
Tiresio
Data Rapporto
16 Oct 2025
Luogo Primario
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