Ballata nel regno delle ombre

Nel crepuscolo eterno dove il tempo si spezza,

cinque anime andarono, strappate alla brezza.

Un vecchio, due gnomi, una maga e un prete

di luce vestiti, tra tenebre liete.

Il Regno d’Ombra li accolse in silenzio,

nessuna stella, nessun firmamento.

Solo il bastone di Padre Michele

faceva da faro tra piaghe crudeli.

Camminarono nelle lande del nulla assoluto,

finché un cimitero, da ombre battuto,

si aprì come bocca di tomba antica,

con al centro un albero nero, che intriga.

Nelle sue viscere, stretta e nascosta,

una creatura di pece e di ossa.

Ladra di tomi, signora dei morti,

guardiana dei segreti e di vie contorte.

Allora Sasà, come vento leggero,

si alzò contro scheletri con gesto sincero.

Volteggiò, danzò, li tenne lontani,

mentre Sindri avanzava con occhi sovrani.

Per la prima volta non fu dietro al mantello,

ma in prima linea, con sguardo fratello.

Parlò con la bestia, poi alzò la mano:

una pergamena, un dono lontano.

Da Titania ricevuta, d’incanto e furore,

sprigionò fiamme con tutto il suo ardore.

Mentre danzava tra colpi e lamenti,

evitò artigli e straziamenti.

Poi un coltello, con fede scagliato,

trovò la creatura e l’anima ha lacerato.

Ferita anche dal fuoco dell’anziana maga,

la bestia rantolò, ma ancora non paga.

Quando strinse tra le mani lo gnomo compagno,

Sindri agì senza indugio né inganno:

un secondo coltello, lanciato di schiena,

pose fine a quell’ombra, a quella catena.

Ma la quiete durò solo un battito solo:

da nord e da sud, dal silenzio e dal suolo,

un’orda di scheletri marci e famelici

spuntò come serpi tra fumi nemici.

Fu allora che Sasà, con ingegno e veleno,

alzò muro di fiamme, infiammando il terreno.

Con alchimie e fuoco e gesti perfetti,

fermò la marea con ardori corretti.

Gli altri cercarono, rovistarono il tutto,

mentre Sindri vuotava ogni scaffale distrutto.

E fu l’anziana a trovare il varco,

la via per tornare, per fuggire all’imbarco.

Così con i tomi, i segreti salvati,

fuggirono infine da quei campi dannati.

E il santuario, che piangeva i suoi scritti,

rivide la luce nei volti sconfitti.

Ma Sindri lo scrisse, lo giura e lo canta:

"Quest’ombra non è finita, è solo la pianta.

Io viaggerò ancora, tra i piani fatati,

finché gli equilibri non siano ristabiliti e amati.”


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