Ancoratori
Gli Ancoratori sono ciò che resta di una delle gilde più rispettate del Vestibolo, una confraternita un tempo fiera e numerosa, ora ridotta a un manipolo di specialisti esausti, logorati dal compito impossibile che si sono dati. Operano lungo l’intera lunghezza del Circolo Interno, e solo lì. È la loro ossessione, la loro prigione e il loro voto. Nessun altro ordine ha mai osato arrogarsi il diritto di manutenere il confine tra la civiltà e il Vuoto, perché nessuno ne conosce i capricci meglio degli Ancoratori. Ogni tratto del Circolo racconta il passaggio dei loro strumenti, delle loro preghiere silenziose, delle notti passate a ricucire la pietra come fosse carne viva. Ma ogni tratto è anche una cicatrice nuova, una prova della loro impotenza crescente.
Dieci anni fa, gli Ancoratori contavano migliaia di membri: scalpellini e ritualisti, geometri magici, trascrittori runici, posatori di cristalli e incantatori del terreno. Era un’intera civiltà silenziosa, dislocata lungo il Circolo come nervi di un essere vivente. Adesso, ne restano appena cinquecento. La maggior parte si concentra nei tre insediamenti principali del Vestibolo: Vhar-Kazet, Ysenholt e Krelmath, dove si trovano i cantieri ancora attivi e i centri di comando operativi. Ma anche lì, gli accampamenti degli Ancoratori sembrano campi da guerra sopravvissuti a troppi assedi. Le tende sono consunte, i templi di pietra abbandonati, e le fucine suonano più come campane funebri che come fucine di speranza.
Il logoramento non è solo fisico. Negli ultimi anni, i rapporti con la Soglia dell’Insondabile e con i Protettori di Via si sono incrinati. Un tempo alleati, ora rivali passivi, le tre gilde condividono solo diffidenza. Le cause sono molteplici: divergenze dottrinali su come trattare le anomalie del Vuoto, sospetti reciproci riguardo a sabotaggi celati sotto la maschera della collaborazione, e soprattutto l’accusa, mai apertamente dichiarata, che la Soglia stia deliberatamente rallentando l'accesso ai riti di purificazione più avanzati per spezzare l’indipendenza degli Ancoratori. Eppure, malgrado questo isolamento crescente, nessuno osa sciogliere la gilda. Nessuno vuole vedere cosa accadrebbe se il Circolo smettesse davvero di essere mantenuto.
Essere un Ancoratore significa vivere in bilico tra il sacro e il tecnico, tra la fede e la misurazione. I veterani parlano al Circolo come si parlerebbe a un dio sofferente: con rispetto, con timore, con rabbia e con amore. Alcuni di loro hanno abbandonato del tutto i propri nomi, sostituendoli con codici legati ai tratti del Circolo che hanno riparato o studiato per più tempo. Molti non lasciano mai la strada, scegliendo di vivere nei pressi delle torri di guardia o in piccole stazioni di sosta costruite tra le radure dimenticate. Alcuni sono diventati folli, convinti che il Circolo abbia una volontà propria, e che stia tentando di parlare con loro attraverso gli assestamenti, le vibrazioni del suolo o i disegni delle crepe.
La formazione di un Ancoratore è lunga, e ormai, sempre più spesso, incompleta. Servono anni per imparare a riconoscere la tensione magica di un cristallo sbilanciato, per correggere un'inflessione errata in una runa di contenimento o per comprendere se una crepa sia frutto dell’erosione... o di qualcosa che si è agitato al di sotto. I più giovani si trovano catapultati sul campo con metà dell’addestramento e nessuna delle protezioni un tempo garantite dalle altre gilde. E così, ogni anno, il Circolo morde. E ogni anno, meno Ancoratori tornano indietro.
Tra i membri rimasti, aleggia una sorta di culto silenzioso, non ufficiale, secondo il quale ogni tratto mantenuto, ogni lastra stabilizzata, sia un’offerta di carne contro la fame del Vuoto. Loro non combattono con spade, ma con scalpelli e rituali, con misurazioni millimetriche e canti vibrazionali. Ogni giorno in cui il Circolo regge è una piccola vittoria, ma anche un passo verso il collasso. Gli Ancoratori lo sanno. E nonostante questo, non si fermano.
Sono i medici di una ferita che non si rimarginerà mai. I guardiani di una diga che non può reggere per sempre. E nel silenzio delle loro tende, tra le pietre ancora calde di magia, si chiedono quanti saranno ancora vivi quando il primo tratto cederà. Quando il Vuoto si accorgerà che nessuno è più rimasto a chiudere le sue crepe.
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